Si può morire a poco più di vent'anni per un tumore contratto in laboratori di ricerca universitari? E' quello che accade nel nostro Paese, più precisamente a Catania.
Presso la Facoltà di farmacia dell'ateneo siciliano diversi ragazzi avrebbero infatti contratto l'oscuro male durante la loro attività di ricerca.
La vicenda è venuta alla luce grazie a due giornalisti di Repubblica che hanno ricostruito tutto dettagliatamente nel libro: "Morti e silenzi all'Università", che sarà presentato tra pochi giorni a Catania.
Ringraziamo vivamente l'associazione "Officina Rebelde" (www.officinarebelde.org) dal cui sito abbiamo estratto questo articolo che vi riproponiamo integralmente.
Mi raccomando diffondete. Soprattutto a studenti e ricercatori che seguono questo blog. Non si può fargliela passare liscia.
Morti e silenzi a Farmacia
Presentazione del Libro inchiesta sulle morti di tumore tra i ricercatori di Farmacia a Catania. Venerdì 12 febbraio 2010 ore 17.00 Caffè libreria Tertulia-Catania
Pubblicato giovedì 4 Febbraio 2010
"Morti e silenzi all’università "
Fonte: articolo di Costanza Quatriglio, la Repubblica del 19 gennaio 2010.
Nel titolo è contenuto tutto l’orrore di una storia che potrebbe essere il frutto della fantasia cinica di un narratore di genere. Ragazzi che muoiono in serie studiando e lavorando nei laboratori di Farmacia dell’Università a cui avevano affidato il loro futuro. Invece è il frutto del lavoro lungo e puntiglioso di due giornalisti che hanno cercato di capirci qualcosa, laddove comprendere è difficile e intuire fa paura. “Morti e silenzi all’università” di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti (Aliberti editore, pag. 110, euro 11,50, il 19 febbraio la presentazione alle Libreria Tertulia, v. Michele rapisardi 1) è un resoconto limpido della storia del sequestro, avvenuto nel novembre del 2008, dei laboratori didattici e di ricerca della Facoltà di Farmacia dell’Università di Catania. La chiusura dei locali fu seguita dalla notifica di avvisi di garanzia per disastro colposo ed inquinamento ambientale all’ex rettore dell’Università, al preside, e ad altri sette tra docenti e responsabili dei laboratori. I due giornalisti di Repubblica, seguendo la vicenda fin dall’inizio, capirono immediatamente che la storia è ancora più complessa. Un giovane ricercatore morto per cancro ai polmoni cinque anni prima, aveva scritto un diario in cui aveva annotato la propria frustrazione per le condizioni di lavoro in barba alle più elementari norme di sicurezza: cappe aspiratrici non funzionanti, mancanza di aperture e di aerazione in ambienti dove sostanze chimiche anche cancerogene venivano lasciate sui banconi o custodite in frigoriferi arrugginiti, smaltite negli scarichi dei lavandini, le cui esalazioni altamente tossiche venivano respirate quotidianamente da studenti e ricercatori.
La storia di Emanuele Patanè e degli altri giovani morti prima e dopo di lui è emblematica e raccontarla è necessario. È una storia scomoda che ci parla di noi. Ci dice che abitiamo il mondo della malavoglia, in cui si può morire a vent’anni con la delusione in corpo che ti mangia, cellula dopo cellula, la voglia di vivere, di crescere, di contribuire al futuro del nostro Paese. Insieme allo smarrimento degli studenti, il libro chiarisce anche l’aspetto più tecnico delle perizie, delle assemblee, delle lettere di protesta firmate da ricercatori e docenti per le condizioni di lavoro considerate inaccettabili. Come conferma la perizia eseguita da una società lombarda che in quel laboratorio aveva trovato contaminazioni da mercurio, zinco, arsenico, piombo, rame, nichel e stagno con percentuali che superano i livelli industriali dei petrolchimici. Immediatamente la memoria corre ai fatti di Porto Marghera e di altri siti inquinanti, alle lotte tra gli operai e i padroni che tacciono pur sapendo. In questa storia catanese non ci sono padroni ma padri. Una studentessa di 23 anni, ammalata di tumore e ancora sotto chemioterapia, si chiede: “i docenti, i presidi, i professori con cui sono stata sempre a contatto, perché mi hanno tradito? Perché hanno tradito tutti quei ragazzi, quei miei colleghi che sono morti o stanno per morire? Questo non lo comprenderò mai.” Quando venne resa pubblica la notizia del sequestro dei laboratori, fu come scoperchiare un formicaio, in un lampo come l’apocalisse o la peste. È incredibile che tante famiglie abbiano pianto in silenzio i loro figli senza trovare mai il coraggio di denunciare le condizioni insalubri di quel laboratorio, che avrebbe dovuto costituire il futuro dei loro ragazzi, non la loro tomba. L’avvocato Terranova, legale dei parenti delle vittime, sostiene che l’unione fa la forza e che è stato per pudore e non solo per paura di rimanere inascoltati, che questi genitori non abbiano fino a quel momento denunciato pubblicamente il loro dolore. Poi, con la condivisione, è arrivato anche il coraggio.
Il merito del libro di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti va ancora oltre: questa storia tutta italiana ci fa domandare oggi se il nostro Paese abbia mai prodotto veramente gli anticorpi per il virus del progresso, oppure Catania è solo il primo di casi come questo e allora questo racconto dell’orrore ci fa ancora più paura perché contiene in sé lo spettro di ciò che forse siamo, anche se ha il coraggio di dire a chiare lettere ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Costanza Quatriglio, regista.
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